Hai presente quella scena che si ripete nei parchi, nelle case, nei salotti dei nonni?
Due bambini, uno è tuo figlio. Si studiano, a distanza. Nessuna parola, solo sguardi lunghi, trattenuti.
In mezzo a loro, un gioco. Magari una macchinina, una formina da spiaggia, un pupazzo.

L'altro lo prende, ma tuo figlio lo vuole.
"È mio!" - grida forte, di pancia.
Un genitore si irrigidisce. E magari quel genitore sei tu.
 

In un istante senti salire qualcosa nello stomaco: disagio, vergogna, paura di essere giudicato.
Allora intervieni, con un sorriso un po' forzato e una frase che ti esce da sola, senza pensarci troppo:
"Dai, si condivide!"

Ecco: è da lì che parte questa guida.

Da quella parola così semplice e così potente: "mio". Una parola che ti mette in difficoltà perché il possesso, quando è infantile, risveglia qualcosa di antico. Ti spinge a confrontarti con l'idea di confine, con la fatica della relazione, con l'angoscia di separazione. E ti riporta al "te bambino".

È che quando tuo figlio non vuole condividere (e lo fa davanti ad altre persone) qualcosa dentro di te si muove, ti infastidisce.
Ti sembra scortese, sbagliato, quasi un fallimento educativo. E di fronte agli altri, tu ti senti a disagio, magari ti senti giudicato.

Oggi, con questa guida, voglio dirti questo: no, non è un fallimento. Non è nemmeno maleducazione, perchè condividere è una tappa. Quel gesto non è un problema da correggere, ma è un bisogno da comprendere.

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Nella guida è incluso uno spazio per te, da vivere in un incontro individuale online da svolgere insieme (l'incontro è gratuito)